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PERCHÉ ESISTONO LE SOCIETÀ DI INGEGNERIA?

Un passo indietro per comprendere lo scenario davanti

Ha sempre stupito la frammentazione delle attività dei professionisti italiani e spesso ci chiediamo cosa possa impedire la loro unione, la creazione di realtà più complesse e meglio organizzate. Nei servizi tecnici professionali, queste realtà prendono il nome e la forma delle società di ingegneria. D’altro canto, sono anni, questi ultimi e i prossimi, di profondi cambiamenti nel comparto della consulenza tecnica.

Oggi più che mai, infatti, la complessità delle attività, la necessaria multi-disciplinarietà, gli investimenti richiesti in tecnologia e formazione delle persone, rendono desuete e per molti aspetti fuori dal mercato organizzazioni (o meglio, non-organizzazioni) del servizio. Per questo, una formula organizzativa che pareva appannaggio di strutture di maggiori dimensioni e solo per lo svolgimento di incarichi rilevanti, potrebbe diventare lo schema fondante dello sviluppo dei professionisti dell’ingegneria, dell’architettura, dei servizi tecnici in generale. Certo, con l’auspicio che comunque si assista a fenomeni di fusione e concentrazione e che non si replichi la medesima frammentazione.

Immaginando un pubblico poco avvezzo alle trattazioni giuridiche, vale la pena partire da un po’ distante, per poi entrare nello specifico dell’argomento.

Le società sono una delle forme previste dal Codice Civile per l’esercizio di un’impresa.

Per quanto utilizzate come sinonimi nel linguaggio comune, impresa, società e azienda hanno significati e connotati giuridici differenti.

L’art. 2082 del codice civile definisce imprenditore “colui che esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”.

Chiari i punti cardine attorno alla definizione del Codice:
– professionalmente, significa che si tratta di un esercizio continuativo, non occasionale;
– economicacioè volta a creare ricchezza (o autosufficienza economica);
– organizzata, che comporta il coordinamento dei fattori produttivi, proprio e, soprattutto, altrui;
– produzione o scambio di beni o servizi: il fine di tutto quanto sopra è la presenza sul mercato, per perseguire un profitto.

Il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa è invece l’esatta definizione di azienda (art. 2555 cod.civ.).

Dal punto di vista formale, l’impresa può essere esercitata in più forme. Tra queste, la società, definita come “il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di una attività economica allo scopo di dividerne gli utili” (art. 2247 cod.civ.).

Quindi la società:

  • è un contratto;
  • tra due o più persone (fisiche o giuridiche) che conferiscono beni (denaro o beni materiali) o servizi (lavoro).

Per farne cosa?
Per l’esercizio in comune di attività economicamente rilevanti.

Vale a dire?
Con lo scopo di procurarsi un guadagno (la divisione degli utili).

Le società possono avere diverse configurazioni:

società di persone

  • semplice;
  • in nome collettivo (SNC);

società di capitali (o anonime)

  • in accomandita semplice (SAS);
  • a responsabilità limitata (SRL);
  • per azioni (SPA) società di capitali;
  • in accomandita per azioni (SAPA).

Società di persone

  • compare sempre il nome del socio;
  • sono rilevanti le caratteristiche personali dei soci
  • non hanno personalità giuridica;
  • i soci (tendenzialmente) sono anche rappresentanti e amministratori della società;
  • i loro atti impegnano la società e il patrimonio degli altri soci;
  • i soci rispondono con il loro patrimonio alle obbligazioni societarie;
  • rapporto di fiducia è prevalente (le quote si trasferiscono con il consenso di tutti, scioglimento per cause che modifichino le caratteristiche del socio).

Società di capitali

  • non necessariamente, evidenziano il nome del socio (anonime);
  • la persona del socio è (tendenzialmente) irrilevante;
  • hanno personalità giuridica (la società è diretta titolare di situazioni giuridiche attive e passive e sussiste autonomia patrimoniale c.d. perfetta);
  • il socio non è responsabile delle obbligazioni sociali;
  • (quindi) non risponde con il suo patrimonio;
  • libero trasferimento delle quote;
  • regole che assicurano integrità del patrimonio;
  • il socio non necessariamente è amministratore;
  • è necessaria una organizzazione (assemblee, organi amministrativi – CdA, etc., organi di controllo…).

Le società sono un istituto giuridico relativamente recente e sono nate, di fatto, per facilitare il commercio; perché sono il mezzo (formale) più idoneo a favorire la produzione, la collaborazione e l’organizzazione di più individui, consentendo la raccolta di maggiori mezzi finanziari, tecnici, operativi. Questo rappresenta un fattore di successo per l’impresa e non sono concetti indifferenti ai fini del perché di una società di ingegneria.

A questo punto, possiamo andare a fondo dell’argomento che ci interessa.

Le società di ingegneria sono società di capitali (anonime). Può sembrare una distinzione formale ma è il motivo per cui le società di ingegneria sono state formalmente vietate per 60 anni.

Evoluzione storica

Non ci saremmo nemmeno posti la domanda, oggi, se il 23 novembre 1939 non avessimo assistito alla pubblicazione della L. 1815 “DISCIPLINA GIURIDICA DEGLI STUDI DI ASSISTENZA E DI CONSULENZA” che riportava:

“Art. 2: è vietato costituire, esercire o dirigere, sotto qualsiasi forma diversa da quella di cui al precedente articolo, società, […], i quali abbiano lo scopo di dare, anche gratuitamente, ai propri consociati od ai terziprestazioni di assistenza o consulenza in materia tecnica, legale, commerciale, amministrativa, contabile o tributaria”

Il contesto era quello delle leggi razziali e lo scopo era di evitare che gli ebrei, nascosti dietro la forma della società anonima, potessero esercitare professioni che venivano loro precluse.

E’ particolarmente significativo come, se pure i motivi fossero evidentemente deprecabili, gli effetti di quella disposizione hanno creato posizioni di vantaggio per chi esercita professioni intellettuali e per questo è rimasta in vigore per 58 anni, fino al 1997.

Va detto che fin dalla metà degli anni ‘60 il mercato chiese soluzioni differenti (nel 1965 nasce OICE – Organizzazione Ingegneri e Consulenti operanti all’Estero -, ancora oggi la maggiore lobby delle società di engineering), e dagli anni ‘70 si cominciarono a vedere una serie di leggi che, pian piano, scardinarono quel sistema. Questo grazie alla spinta delle grandi organizzazioni che avevano necessità di potersi confrontare con i mercati esteri, come pure a una sorta di moral suasion portata dalle grandi engineering straniere interessate al mercato italiano.

A quel punto, l’esercizio di una professione intellettuale sotto forma di società di capitali, se pure non era espressamente riconosciuta, era quantomeno “tollerata”.

E’ un passaggio importante perché altre categorie professionali (avvocati o commercialisti) non hanno mai spinto verso questo genere di evoluzione (e forse è il motivo perché troviamo Deloitte e PWC in Italia ma non la “Rossi&associati” all’estero).

Il primo vero, rotondo riconoscimento dell’esistenza delle società di engineering arriva nel 1994 con la Legge Merloni, prima compiuta legge sugli appalti pubblici in italia:

art. 17: “Le prestazioni relative alla progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva nonché alla direzione dei lavori ed agli incarichi di supporto tecnico-amministrativo alle attività del responsabile unico del procedimento […], sono espletate […] dalle società di ingegneria.

In quel momento, almeno con riferimento agli appalti pubblici, era chiara la loro legittimità (ma con un mercato privato che le ammetteva da almeno 30 anni).

L’art. 2 della l. 1815/1939 viene abrogato solo nel 1997 con la L. 266/1997, art. 24 (c.d. Legge Bersani), che oltre ad abrogare il famigerato art. 2 rimanda a un regolamento ministeriale l’esercizio in forma societaria delle attività professionali; il regolamento andava emesso entro 120 giorni dalla pubblicazione. 

Quei 120 gg sono diventati quasi 7000, ma nel 2016 finalmente anche il regolamento ha visto la luce, e il definitivo riconoscimento della loro esistenza arriva con la L. 124/1997 e poi ancora, se non bastasse, nel 2017 (Legge Concorrenza n. 124/2017): “In applicazione dell’articolo 24, comma 1, della legge 7 agosto 1997, n. 266, sono validi a ogni effetto i rapporti contrattuali intercorsi, dalla data di entrata in vigore della medesima legge, tra soggetti privati e società di ingegneria, costituite in forma di società di capitali”.

Sembra impossibile, ma ancora nel 2017 battaglie di retroguardia, purtroppo promosse anche da alcuni Ordini, non riconoscevano la legittimità delle società di ingegneria nel settore privato, nonostante i 4 miliardi di fatturato generato e gli oltre 25 mila collaboratori impiegati.

Oggi, in concreto, cosa sono le società di ingegneria?

Oggi è il dlgs 36/2026 (Codice dei Contratti Pubblici) e le sue norme attuative che ne dettano le regole. Il Codice rimane la principale fonte normativa, che si adatta poi al mercato privato:

Art. 66, Operatori economici per l’affidamento dei servizi di architettura e ingegneria

[…] società di ingegneria: le società di capitali di cui ai capi V, VI e VII del titolo V del libro quinto del codice civile, […] che non abbiano i requisiti delle società tra professionisti (!), che eseguono studi di fattibilità, ricerche, consulenze, progettazioni o direzioni dei lavori, valutazioni di congruità tecnico-economica o studi di impatto, nonché eventuali attività di produzione di beni connesse allo svolgimento di detti servizi

Le caratteristiche di base sono invece descritte dall’allegato II.12, che sostituisce il Decreto Ministeriale MIT 263/2016, vigente “ai tempi” del vecchio Codice DLgs 50/2016:

Art. 36. Requisiti delle società di ingegneria 

[…] sono tenuti a disporre di almeno un direttore tecnico con funzioni di collaborazione alla definizione degli indirizzi strategici del soggetto cui fa capo, di collaborazione e controllo delle prestazioni svolte dai tecnici incaricati delle progettazioni.

Il direttore tecnico […], deve essere in possesso dei seguenti requisiti:

a) essere in possesso di laurea in ingegneria o architettura o in una disciplina tecnica attinente all’attività prevalente svolta dalla società;

b) essere abilitato all’esercizio della professione da almeno dieci anni nonché iscritto, al momento dell’assunzione dell’incarico, al relativo albo professionale previsto dai vigenti ordinamenti, ovvero abilitato all’esercizio della professione secondo le norme dei paesi dell’Unione europea cui appartiene il soggetto.

La società delega il compito di approvare e controfirmare gli elaborati tecnici inerenti alle prestazioni oggetto dell’affidamento, al direttore tecnico o ad altro ingegnere o architetto dipendente dalla medesima società e avente i medesimi requisiti. L’approvazione e la firma degli elaborati comportano la solidale responsabilità civile del direttore tecnico o del delegato con la società di ingegneria nei confronti della stazione appaltante. 

Il direttore tecnico è formalmente consultato dall’organo di amministrazione della società per la definizione degli indirizzi relativi all’attività di progettazione, per la decisione di partecipazioni a gare per affidamento di incarichi o a concorsi di idee o di progettazione, nonché in materia di svolgimento di studi di fattibilità, ricerche, consulenze, progettazioni, direzioni dei lavori, valutazioni di congruità tecnico-economica e studi di impatto ambientale. 

Le società di ingegneria, predispongono e aggiornano l’organigramma comprendente i soggetti direttamente impiegati nello svolgimento di funzioni professionali e tecniche, nonché di controllo della qualità e in particolare: 

a) i soci;

b) gli amministratori;

c) i dipendenti;

d) i consulenti […].

L’organigramma riporta, altresì, l’indicazione delle specifiche competenze e responsabilità. Se la società svolge anche attività diverse dalle prestazioni di servizi di cui all’articolo 46 del codice, nell’organigramma sono indicate la struttura organizzativa e le capacità professionali espressamente dedicate alla suddetta prestazione di servizi. I relativi costi sono evidenziati in apposito allegato al conto economico.

Possiamo quindi dire:

  • non c’è nessun limite all’apporto di capitali (soci attivi, ingegneri ma anche no, soci di capitale, altre società, etc.);
  • devono avere un direttore tecnico (se vuole operare nel mercato pubblico) che di norma è un dipendente o socio, ma non è strettamente necessario, mentre è importante il fatto che vi sia comunque una relazione stabile con la detta organizzazione;
  • è tenuta a svolgere le prestazioni tramite professionisti iscritti ad albi, personalmente responsabili e nominativamente indicati; rimane il principio della personalità della prestazione e responsabilità personale di chi firma gli elaborati (e del direttore tecnico).

Ulteriori adempimenti:

  • obbligo contributivo verso le Casse di Previdenza a cui appartengono i firmatari dei progetto;
  • polizza responsabilità civile professionale.

Il rapporto con l’ Inarcassa

Il versamento del 4% a INARCASSA (Cassa di previdenza di ingegneri e architetti) è da sempre un problema, per chi costituisce una società di ingegneria. 

La normativa (scritta dalle stesse casse previdenziali) non è chiara e tende a far rientrare nelle attività di ingegneria qualsiasi attività svolta dalla società; anche quando, a rigore, non lo sarebbe. 

Inoltre, se è vero che il contributo del 4% (che è a carico del committente) si giustifica per la prestazione del libero professionista, diretto beneficiario del contributo, nei confronti delle società di ingegneria questo non avviene, e pertanto il margine di contribuzione (il valore più alto a cui la società di ingegneria riesce a proporre il lavoro dei singoli professionisti) porta nelle casse degli enti valori aggiuntivi rispetto alla reale “produzione” di ingegneria. Questo senza che né la società né il singolo professionista ne abbia un reale vantaggio.

Per spiegare meglio: se la società vende un servizio a 100, fatturerà 100 + 4% Incarcassa (+ IVA).

Il valore della prestazione del professionista (pagato dalla società) sarà 60. La differenza è data da spese generali, costi indiretti e utile atteso. Il professionista fatturerà alla società di ingegneria 60 + 4% Inarcassa.

Durante l’anno la società verserà a INARCASSA il 4% di 100 meno il 4% di 60 (già pagato al professionista). Questa differenza sono, di fatto, soldi che l’ente incassa e a cui non corrisponde alcuna prestazione (le società non hanno una pensione né godono di alcun servizio da parte delle casse). Diciamo che per le casse sono un utile netto, drenato alle casse dei committenti delle società o alle società stesse (come accade – ed è frequente – quando il committente intende il prezzo comprensivo anche degli oneri previdenziali).

E’ un tema complesso, senza soluzioni chiare, ma con un solo reale beneficiario.

Perché la società di ingegneria?

Oggi, il classico servizio di ingegneria o di architettura ha poche ragioni di esistere. Soprattutto se inteso come sola progettazione architettonica o di ingegneria. Qualsiasi lavoro, anche il più semplice ha in realtà livelli di complessità che richiedono un approccio multidisciplinare (chi scrive ha formazione giuridica e lavora per società di ingegneria da oltre 10 anni). Non c’è nemmeno da discuterne, con riferimento ai lavori più complessi o di maggiori dimensioni; mercato questo in cui la figura del libero professionista è – di fatto – sparita.

Oltre a ciò, i committenti cercano sempre più un servizio che va oltre alla mera attività di progettazione, senza considerare il fatto che la tendenza già in atto è quella di lavorare sull’esistente e sulla polifunzionalità di spazi e destinazioni. Per questo, la moderna organizzazione di progettazione necessità di competenze in materia informatica, management, legale, energia, sociologia, e così via.

La forma societaria è il miglior strumento per il governo di questa complessità, tecnica e organizzativa, e per raggiungere i livelli ottimali di efficacia ed efficienza del servizio.

Oltre a questo, la struttura societaria punta alla solidità dell’organizzazione stessa e la presenza di un capitale commisurato al giro d’affari o al mercato a cui si ambisce, offre quelle garanzie necessarie a un più semplice accesso al credito.

Il credito, nel comparto dei servizi e delle consulenze, significa principalmente: possibilità di finanziare gli imprescindibili investimenti in formazione e tecnologia (soprattutto oggi, dove finalmente la digitalizzazione del processo edilizio sta occupando fette sempre più grandi di attività), e assunzione di personale, che può garantire un migliore servizio o nuovi filoni di business.

Ma ancora, le ultime vicende della decretazione d’urgenza, hanno reso evidente come sia difficile, per un professionista, accedere al credito. Mentre le società (se pure con le mille difficoltà in seno al sistema bancario nell’attuare le misure eccezionali di sostegno all’economia), riusciranno ad ottenere sostanziosi (si spera) finanziamenti. Rendendo ancora più evidente il divario tra i primi e queste ultime.

Un ultimo non trascurabile elemento: avere le spalle grosse significa poter dialogare con gli altri operatori del comparto costruzioni, come soggetti alla pari, scardinando logiche servili e fenomeni indotti di dumping sui prezzi dei servizi.


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Ultimo aggiornamento: 30 ottobre 2023

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